Stanze. Sul custodire e il perdere. Il film documentario di Giulia Lenzi

Chantal Akerman

STANZE
Sul custodire e il perdere

a cura di Rita Selvaggio 

film documentario 
di Giulia Lenzi

Chantal Akerman, STANZE. Sul custodire e il perdere, still da film
© Giulia Lenzi

Inauguratasi lo scorso 26 Febbraio, STANZE – Sul custodire e il perdere è la prima mostra personale di Chantal Akerman in un’istituzione pubblica italiana. L’attenzione alle attività quotidiane declinate al femminile è stato sin dagli esordi un tema rilevante in gran parte del suo lavoro che, rivelando una fede umanistica ed epistemologica nell’osservazione del luogo comune, medita sulla natura problematica delle capacità rappresentative del cinema. L’importanza della pratica di Akerman non è solo formale ma si collega strettamente alla sua continua ricerca su questioni di identità e memoria inquadrandole all’interno di una rivoluzionaria esplorazione dell’ estetica dell’ordinario.

I contenuti del percorso espositivo intrecciano all’interno della casa – vissuta in questo caso come una sfera delle umane emozioni – diari, lettere, storie personali e biografia, elementi che da sempre hanno avuto un ruolo prominente in tutto il lavoro di Chantal Akerman.  Lasciandosi alle spalle il movimento inafferrabile della vita urbana, il visitatore viene accolto da un lungo corridoio buio, una sorta di collo uterino che, attraversando il tempo e la storia in un vuoto arcaico, approda ad una conversazione intima tra l’artista e la madre. – “Tutto è iniziato con il diario, il diario di mia nonna. L’unica cosa che ci rimane, dice sempre mia madre. Spesso, ci rimugino sopra nella mia mente e lavoro con la nozione di mancanza, di nulla come diceva mia madre. Ecco ho lavorato con quello che ci è rimasto. Non molto eppure un mondo intero. Per anni sono stata ossessionata da questo diario, questo “Tagebuch” che inizia con “Io sono una donna! Pertanto non posso…”, scritto in polacco nel 1920 da una ragazza di 15 anni in un ambiente molto Ebraico Ortodosso, mia nonna, la madre di mia madre” – , scrive in merito Akerman nel 2004.

Alla necessità di ricostruire una memoria, si riferisce anche My Mother Laughs Prelude (2012), performance filmata tratta dal libro che Akerman ha scritto su sua madre. Con “iperbolica letteralità”, per usare le parole di Ivone Marguiles, e infantili forme del discorso,  il monologo taglia lo spazio con sostanziale risemantizzazione producendo un’esperienza immersiva. Situare il tempo nello spazio, spazializzare, gli echi delle voci si mescolano tra le pareti, piani ortogonali e ritmi ellittici, stanze aperte su altre, o su esterni di lontane geografie, scale interne e passaggi poetici.

La lettura della mostra non richiede un ordine consecutivo, piuttosto si lascia esplorare con modalità erratica. In Femme d’Anvers en Novembre (2008), i piani sequenza di differente durata girati da svariate angolazioni e distanze, riprendono diverse donne che fumano nella notte e sono montati in un loop di venti minuti. Ogni donna è in uno stato mentale diverso, dalla noia alla solitudine e all’angoscia: lo sguardo si sintonizza con le sottili somiglianze ma anche con le differenze gestuali, con le posture e le espressioni tra l’una e l’altra mentre l’atto prosaico del fumo si trasforma in un evento poliedrico, denso di associazioni. Molte delle opere di Akerman accolgono immagini presentate in riprese ininterrotte da una prospettiva fissa e i suoi film sono spesso caratterizzati dalla mancanza di dispositivi cinematografici convenzionali come dialoghi o trama.

La Chambre (1972-2007) vede Akerman, regista e al contempo attrice silenziosa, indagare la realtà moltiplicando lo spazio domestico. Il luogo dell’indagine estetica e concettuale sul tempo che passa è l’interno di una stanza che si dilata attraverso un movimento ipnotico e circolare. Due lunghe riprese a 360 gradi descrivono lo spazio come un succedersi di “nature morte”, una sedia, la frutta su un tavolo: oggetti solitari in attesa che incorniciano una giovane donna seduta nel letto mentre mangia una mela.

Lo svolgere della mostra, rendendo il visitatore partecipe della dinamica e del movimento delle immagini, si articola tra senso di appartenenza e sentimento di perdita, soglie e confini, tra interiorità e esteriorità. Si sviluppa dalle voci di un vuoto fetale, da una versione della storia d’amore più semplice e complicata di tutte, quella tra una figlia e una madre, e si completa con la potenza emotiva di immagini senza gerarchia e linearità narrativa. Tombée de Nuit sur Shanghai (2007): porti, acqua, navi, passanti casuali, le enormi insegne pubblicitarie come anche la linea dell’orizzonte di Shanghai, il passare di ogni secondo e la notte che in tempo reale cala sulla città.  Atmosfere e scampoli di realtà: da un albergo-ristorante  i rumori e i suoni fortuiti del sottofondo fanno da colonna sonora a questa meditazione visiva di viscerale potenza.

Sul custodire e il perdere, su ciò che è possibile trattenere e su quello che si è costretti a lasciare andare, allude a quell’indistruttibile che resta e resiste ad ogni corrosione, ma anche al processo stesso di editing richiesto dal montaggio, vero atto cruciale di un film.

 

STANZE. Sul custodire e il perdere
di Giulia Lenzi
film, 14’47’’
Giulia Lenzi, videomaker freelance si interessa di teatro, arti performative e arte contemporanea. A Firenze inizia il percorso lavorativo che poi si sviluppa in tutta la Toscana e in Trentino-Alto Adige, coltivando uno sguardo documentaristico e ampliando la sua ricerca estetica. Lavora regolarmente con vari artisti italiani e istituzioni culturali in ambito dello spettacolo dal vivo e dell’arte contemporanea (Villa Romana Firenze, MART Trento e Rovereto, Teatro Metastasio di Prato, Oriente Occidente Dance Festival, Villa Pacchiani).

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